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Errori da evitare sul reddito di cittadinanza

Errori da evitare sul reddito di cittadinanza

Una misura destinata all’intera popolazione in povertà assoluta potrebbe rappresentare un grande passo in avanti per il welfare italiano. Però il reddito di cittadinanza va disegnato in modo da rispondere realmente alle concrete esigenze dei poveri.

Un’occasione storica da non perdere

Il nostro paese ha atteso per oltre trent’anni l’introduzione di una misura destinata a chiunque si trovi in povertà assoluta. Questo risultato cruciale, sino a poco tempo fa impensabile, pare oggi a portata di mano. Ma se però il reddito di cittadinanza fosse costruito nel modo sbagliato, se ne pagherebbero le conseguenze per generazioni. Da una parte, infatti, è irreale aspettarsi nei prossimi anni una legge di bilancio con una dotazione per la lotta alla povertà paragonabile a quella in via di definizione. Dall’altra, quando vengono compiute scelte che comportano trasferimenti economici a specifici gruppi sociali, è poi estremamente difficile modificarle.

La scelta di introdurre il Rdc dal 1° aprile 2019 e di disegnarlo in totale discontinuità rispetto al Rei (Reddito d’Inclusione) porterebbe il caos a livello locale perché significherebbe l’azzeramento del lavoro faticosamente svolto sinora, con la sperimentazione del Sia dapprima e con del Rei dopo, e l’assegnazione ai centri per l’impiego di compiti che oggi non sono in grado di svolgere. In altre parole, nel 2019 non si riuscirebbe a introdurre il modello d’intervento previsto dal Rdc, ma si creerebbe molta confusione nei territori.

Evitare l’ennesima riforma della riforma

Si delinea, infatti, il pericolo di rendere il Rdc un ibrido: una politica contro la povertà per quanto riguarda i beneficiari (tutti gli oltre 5 milioni di poveri assoluti, come più volte ribadito dal governo), ma una politica contro la disoccupazione rispetto agli interventi previsti. Si legherebbe così la povertà esclusivamente alla mancanza di occupazione, mentre si tratta di un vissuto che tocca numerosi aspetti della condizione umana: economici, familiari, lavorativi, di salute, psicologici, abitativi, relazionali ed altri. In tutti i paesi europei, il principale obiettivo delle politiche contro la povertà consiste nel fronteggiare le molteplici dimensioni del fenomeno. Anche il Rei è disegnato secondo questa impostazione. L’incremento diretto dell’occupazione degli utenti, sul quale oggi in Italia si insiste molto, rappresenta uno dei fini, ma non l’unico.

L’attuazione del Rei – introdotto appena un anno fa – richiede notevoli sforzi a tutti gli attori del welfare locale coinvolti, incontrando spesso significative difficoltà di tipo organizzativo, gestionale e culturale. Qualunque riforma ambiziosa, qual è il Rei, richiede anni per dare i suoi frutti, e i risultati si possono ottenere solo in un quadro normativo stabile. Smontare l’impianto del Rei e ripartire da zero sarebbe fatale. Si ripeterebbe l’errore commesso tante volte in passato, quando i nuovi governi stravolgevano riforme varate dai predecessori solo al fine di marcare la propria diversità: proprio la mancanza di stabilità nei percorsi d’innovazione è stata una causa decisiva dei numerosi fallimenti incontrati nei tentativi di modernizzare le politiche pubbliche italiane.

Nella costruzione del Rdc, dunque, l’Alleanza contro la povertà in Italia propone di partire dal Rei e, mantenendone l’assetto d’insieme, di migliorarlo ed estenderlo sino a fornire le risposte necessarie a chiunque si trovi in povertà assoluta.

Far fare ai centri per l’impiego il loro lavoro

Nell’impianto del Rei l’inserimento occupazionale ha una posizione di rilievo. Infatti, nel caso di utenti con esigenze legate al lavoro è previsto il coinvolgimento dei centri per l’impiego, senza però che siano stati loro dedicati particolari investimenti. L’annuncio di uno sviluppo dei Cpi rappresenta quindi una novità particolarmente positiva, che non si contrappone in alcun modo al mantenimento dell’impianto del Rei.

Ben diverso sarebbe se con il potenziamento dei Cpi si volessero sostituire i comuni nel coordinamento complessivo della misura, ribaltando l’attuale impostazione. Infatti, solo i servizi sociali comunali hanno le competenze necessarie ad affrontare la multidimensionalità della povertà sperimentata da individui e famiglie. E si tratta di una complessità così sfaccettata che la si può fronteggiare solo costruendo collaborazioni tra i diversi attori del welfare locale (comuni, Cpi, associazioni, terzo settore, Asl, edilizia pubblica, scuola, ed altri): la regia di una simile rete non può che essere affidata ai comuni – come prevede il nostro ord

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Cristiano Gori
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