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Se la burocrazia diventa un’arma di discriminazione*

Se la burocrazia diventa un’arma di discriminazione*

Sono davvero tanti gli esempi di norme introdotte dal governo gialloverde per rendere difficile la vita degli immigrati che vivono in Italia. Il razzismo è un problema culturale, non si risolve per legge. Ma la legge non dovrebbe contribuire ad aggravarlo.

Un atteggiamento già assunto nel contratto di governo

C’è “chi ha volutamente alimentato la diffidenza nei confronti degli immigrati trasformandola in aperta ostilità” ha scritto di recente Tito Boeri. È un atteggiamento che non solo ha caratterizzato l’ultima campagna elettorale e continua a connotare le dichiarazioni di esponenti di governo, ma si è anche tradotto sul piano normativo in regole che tendono a sfavorire gli immigrati, a gravarli di particolari oneri burocratici o addirittura a discriminarli.

Di questa sorta di “razzismo” c’è traccia già nel cosiddetto “contratto di governo”. Ad esempio, al punto 18 si menziona il “sostegno per servizi di asilo nido in forma gratuita a favore delle famiglie italiane”: le altre, quindi, sembrerebbero escluse. Ma anche in una delle misure bandiera dell’esecutivo, il reddito di cittadinanza, si ritrova l’atteggiamento di sfavore. Infatti, alle persone di origine straniera non basta avere i requisiti previsti per la generalità dei richiedenti, poiché per loro la legge ha posto paletti ulteriori che ne ostacolano la fruizione: dieci anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi due continuativi, condizione che per gli stranieri è più difficile rispettare; certificazione dell’autorità estera competente, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana, attestante la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale-patrimoniale. Per il momento, in attesa del decreto che individui i paesi i cui cittadini sono esonerati dall’obbligo – che avrebbe dovuto essere emanato entro giugno – le istruttorie dell’Inps per gli extracomunitari sono sospese.

Alcuni paletti sono “di dubbia legittimità sia in relazione alla carta costituzionale, sia in relazione alle norme UE”: sulla natura discriminatoria di limitazioni similari i giudici si erano pronunciati in passato (ad esempio, in tema di bonus bebè regionale o di edilizia popolare).

Una sorta di “razzismo” si rileva pure nella scelta del governo di accorpare in un unico testo, il cosiddetto “decreto sicurezza” (ora legge n. 132/2018), i due decreti originari (uno su sicurezza, l’altro su immigrazione). La scelta ha determinato “una specie di etichetta preliminare nei confronti del migrante come di persona potenzialmente incline al crimine e ad attentare alla sicurezza, il che vuol dire trattarlo come un diverso” secondo Giovanni Maria Flick.

Più difficile ottenere la cittadinanza

La stessa legge contiene disposizioni improntate alla “burocrazia discriminatoria”. Ad esempio, “per il rilascio degli estratti e dei certificati di stato civile occorrenti ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana” si prevede un termine di sei mesi dalla presentazione della richiesta da parte degli stranieri: si tratta di documenti che gli italiani normalmente ottengono a vista.

Il medesimo sfavore burocratico torna nella norma che raddoppia i termini dell’iter per la concessione della cittadinanza (48 mesi) con efficacia retroattiva, cioè investendo i procedimenti già in corso. O nella eliminazione della norma che disponeva una sorta di silenzio-assenso per l’acquisizione della cittadinanza con matrimonio, scaduti i termini previsti. Dunque, da un lato, si aumentano retroattivamente i tempi della procedura burocratica, dall’altro si cancella una regola tesa ad attenuare il peso della burocrazia stessa. E, sempre in tema di cittadinanza, va richiamata la disposizione che in alcuni casi ne prevede la revoca per gli stranieri condannati in via definitiva: trattarli diversamente rispetto agli italiani condannati per i medesimi reati “significa creare un ordinamento separato sulla base dell’appartenenza etnica”.

Si pensi, poi, alla tassa dell’1,5 per cento sulle rimesse inviate verso i paesi extra-Ue attraverso i money transfer (legge di conversione del decreto fiscale collegato alla legge di bilancio): “non si può parlare di tassa sugli immigrati, dato che non dipende dalla nazionalità di chi effettua l’operazione”, ma “il money transfer è lo strumento principale da loro utilizzato”. La natura “ingiustificatamente discriminatoria” della tassa è stata dichiarata dalla Autorità antitrust.

Di burocrazia a danno degli immigrati si è parlato per una vicenda riguardante il comune di Lodi: per godere di presta

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Vitalba Azzollini
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